Con la recente sentenza 65 del 10 marzo 2022 la Corte Costituzionale si è espressa in ordine alla legittimità costituzionale relativa dell’art. 8, comma 1-bis, della legge 27 gennaio 2012, n. 3, come introdotto dall’art. 4-ter, comma 1, lett. d), del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, nella parte in cui non stabilisce che il piano del consumatore possa prevedere, alle medesime condizioni, anche la falcidia e la ristrutturazione dei debiti per i quali la cessione del credito sia derivata da un provvedimento giudiziale, anziché da un atto di autonomia privata.
Come noto, il d.l. 2020/137 convertito dalla l. 2020/176 ha introdotto l’art. 8 comma 1 bis l. 3/2012, il quale stabilisce che “la proposta di piano del consumatore può prevedere anche la falcidia e la ristrutturazione dei debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione e dalle operazioni di prestito su pegno, salvo quanto previsto dall’articolo 7, comma 1, secondo periodo”.
Orbene, il Tribunale di Livorno, con decisione del 30.03.2021, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale per irragionevolezza ex art. 3 Cost. dell’art. 8 comma 1 bis l. 3/2012, in quanto la norma limiterebbe la possibilità di falcidia o ristrutturazione dei soli debiti derivanti da cessione volontaria del quinto, non disciplinando l’ipotesi di assegnazione all’esito di procedura esecutiva presso terzi; e ciò in quanto non sarebbe possibile “estendere in via analogica la disposizione dettata per la cessione volontaria del quinto anche alle ordinanze giudiziali di assegnazione, stante il carattere specifico ed espresso della norma”.
Orbene, la Corte Costituzionale, con la sentenza in esame, ha statuito in ordine a due importanti profili:
i) da un lato, ha fornito un’interpretazione autentica dell’art. 8 comma 1 bis l. 3/2012, nel senso contrario alla lettura della norma fornita dal giudice rimettente,
ii) dall’altro lato, ha ribadito l’inammissibilità dell’estensione analogica dell’art. 44 l. fall. al piano del consumatore, in conformità alla valutazione operata dallo stesso tribunale rimettente.
Con riferimento al primo aspetto, il Giudice delle leggi ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 comma 1 bis l. 3/2012, stabilendo come la falcidia possa riguardare anche la cessione coattiva del credito, portata dall’ordinanza di assegnazione.
E questo perché la norma esaminata non evoca testualmente la mera cessione volontaria, ma parla di cessione del credito tout court; per tale ragione sarebbe illogico escludere a priori un possibile riferimento implicito anche alla ipotesi della cessione coattiva del credito, di fonte giudiziale.
Contestualmente, è stato rilevato come sebbene la fattispecie normativa in esame faccia riferimento alla specifica ipotesi del contratto di finanziamento, sarebbe del tutto irrazionale, prima ancora che irragionevole, escludere dal piano di ristrutturazione le posizioni debitorie, rispetto alle quali abbia avuto luogo la cessione del credito, sulla sola e specifica circostanza che abbiano fonte in contratti diversi da quello di finanziamento.
Tra l’altro, non può non considerarsi “il giudice dell’esecuzione, attraverso l’ordinanza di assegnazione, non esercita alcun potere decisorio di tipo contenzioso, nè attribuisce al creditore un nuovo titolo”, limitandosi, ex art. 553 c.p.c., ad individuare una modalità di soddisfazione del creditore in chiave solutoria.
Secondo la Corte, attribuire all’effetto traslativo derivante dall’assegnazione giudiziale una vincolatività differente rispetto a quella riconosciuta all’effetto della cessione volontaria sarebbe equivalente a ritenere che il trasferimento della proprietà attuato con una vendita forzata sia “più forte e vincolante” dell’effetto traslativo generato da un atto di autonomia privata.
Ma così non è, in quanto l’art. 2925 c.c. stabilisce la regola generale per cui le norme concernenti la vendita forzata si applicano anche all’assegnazione forzata e, nello specifico, l’art. 2919 c.c. prevede, tra l’altro, che la vendita forzata trasferisce all’acquirente i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subito l’espropriazione.
Pertanto, l’assegnazione trasferisce il diritto di credito che spettava a colui che subisce l’espropriazione, come se quest’ultimo lo avesse volontariamente ceduto al proprio creditore.
Con riferimento al secondo aspetto (esclusione dell’applicazione analogica dell’art. 44 l. fall. al piano del consumatore), il Giudice delle Leggi ha rilevato, incidenter tantum, che “è allora opportuno, innanzitutto, chiarire che, fintantoché il piano non viene omologato, i pagamenti eseguiti dal debitore ceduto sono certamente efficaci. In questa prospettiva, deve confermarsi – come del resto sostiene anche il rimettente – la non applicabilità alla procedura concorsuale relativa al piano di ristrutturazione della disciplina di cui all’art. 44 della legge fallimentare, che rende inefficaci tutti i pagamenti eseguiti a partire dalla dichiarazione di fallimento”.
E questo perché, nel caso della procedura concorsuale in esame, solo l’omologazione del piano rende inefficaci gli adempimenti eseguiti in difformità rispetto al suo contenuto, in virtù di quanto dispone l’art. 13, comma 4, della legge n. 3 del 2012.
Autori:
Avv. Francesca Santarcangelo
06.4203681
Dott.ssa Julia Monero
06.4203681